21 Marzo 2021 ~ 0 Commenti

Io mi sono vaccinata

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Ho un leggero indolenzimento al braccio sinistro mentre batto al pc questa riflessione nel giorno che tanto ho desiderato: oggi, 8 marzo, ho ricevuto la prima dose di vaccino. Ho aspettato quella chiamata assieme ai colleghi, l’ho aspettata sapendo che molti in tutta la provincia erano già alla seconda dose e ogni giorno ci si chiedeva perché non arrivasse mai: mancava la location per poterlo somministrare in sicurezza, mancavano le dosi preventivate, mancava la lista dei nostri nomi qualcuno addirittura vociferava. La pazienza ha vinto su tutto e, con ordine, finalmente, abbiamo fissato la nostra data. Nel mio 8 marzo, seduta nell’area dedicata all’attesa, compilavo il mio consenso e la mia scheda personale compresa di medicinali e patologie in atto e mi distraevo guardandomi in giro per osservare gli occhi di chi era stato fortunato come me; pensavo che il mio regalo per la festa della donna quest’anno fosse proprio quella prima dose che profumava di mimose e speranza che, purtroppo, spesso avevo perso per strada in questo lungo anno. Ho ripensato alla fatica, alle perdite, all’incredulità per tutto ciò che era esploso, all’impotenza, all’ossigeno che non c’era, alle sere in cui chiudevamo la porta della farmacia, ma dentro restava il dolore di essere in mezzo alla tempesta senza un timone. Quella prima dose di vaccino che mi stavano per somministrare era la speranza di poter essere un piccolo passo verso un ritorno a una normalità che è ancora molto lontana e che forse non sarà più quella che ricordiamo, ma che andava fatto. Vanno rigorosamente mantenute tutte le attenzioni che abbiamo imparato a fare nostre, dal distanziamento, alle mascherine, dalla disinfezione delle mani al tampone antigenico qualora entrassimo in contatto con un soggetto positivo; il covid19 è ancora qui con noi, i contagi salgono e si ventila un nuovo lockdown. I vaccini che abbiamo a disposizione efficaci e sicuri ancora non ci sanno dare la certezza di quanto tempo la copertura sarà duratura: serve necessariamente non abbassare la guardia. Eppure, nonostante sapessi benissimo tutto quanto, quella dolcissima infermiera che mi ha iniettato la dose me la sarei abbracciata per tutti quegli abbracci mancati in questo anno: aveva negli occhi l’entusiasmo di chi sapeva di essere un tassello fondamentale della speranza di cui parlavo e voleva svolgere il suo lavoro al meglio possibile, professionalmente e umanamente. Sono uscita dalla mia stanza con in mano il foglio che attestava la mia prima dose di vaccino anti-covid19 e tutte le vaccinazioni a cui sono stata sottoposta dal 1983 a oggi: contro la poliomielite, la difterite, contro il tetano e l’epatite B. Leggo i richiami che con scrupolo mi portarono a fare, garantendomi di essere parte integrante di quel sistema che permette la prevenzione da patologie rischiosissime, che garantisce di fermare la corsa delle gravi forme virali, che aiuta a salvare vite umane e a maturare il rispetto doveroso verso i soggetti più fragili. La mia nonna fu colpita dalla difterite da piccina e mi raccontava spesso di quella febbre che non scendeva mai, della gola che si gonfiava e del medico condotto del paese che correva ogni giorno per visitarla, fino al miglioramento che si diceva avesse del miracoloso; stavo sempre a bocca aperta ad ascoltarla quando mi narrava quella esperienza di vita, per farmi capire quanto fossi una bambina fortunata e quanto dovessimo essere grati alla scienza che poteva aiutarci a scamparla in ogni caso. Oggi la mia nonna avrebbe avuto 92 anni e avrebbe sgomitato per farsi vaccinare, alla faccia di chi non ne vuole ancora sapere. Questa mia prima dose la dedico a lei.

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